La Sicilia, dal punto di vista geologico, è considerata una delle regioni più complesse del Mediterraneo: l’area che occupa si trova tra 2 zolle continentali (Europa ed Africa) in movimento da milioni di anni. Tutte le conoscenze sulla sua storia geologica e biologica si devono alle informazioni contenute nelle rocce che oggi la costituiscono. E’ lo studio dei fossili che ha permesso di datare le rocce siciliane e di riconoscerne gli antichi ambienti di formazione.

Per capire come si è arrivati alla sua forma attuale (catene montuose, aree collinari, pianure, etc.) bisogna quindi ritornare indietro nel tempo, nell’Era Mesozoica, alla fine del periodo Triassico e all’inizio del Giurassico, a circa 200 milioni di anni fa.

La Sicilia non esiste ancora e non esistono i continenti così come li conosciamo oggi. C’è ancora un unico continente (Pangea) circondato da un solo mare (Tetide). Da molti milioni di anni il dominio biologico del Pianeta è condiviso dai Dinosauri sulle terre emerse e dalle Ammoniti negli oceani.

Si stanno formando le rocce che oggi costituiscono l’ossatura montuosa della Sicilia. Il clima è quasi tropicale (caldo e umido) e siamo in un ambiente marino di laguna, cioè di acque basse (ambiente di piattaforma carbonatica). In questa laguna proliferano molti organismi biocostruttori, che fissano il carbonato di calcio per costruire i loro apparati scheletrici (coralli, bivalvi, spugne ed alghe) e vi si accumulano grandi quantità di sabbia calcarea proveniente dalla frantumazione delle conchiglie di tutti questi organismi. Scogliere e barriere biocostruite crescono al margine delle piattaforme e le separano da zone di mare profondo centinaia e centinaia di metri; qui si stanno formando altre rocce, sempre calcaree ma a grana molto più fine.

Tutto rimane quasi immutato per 20 milioni di anni ma circa 180 milioni di anni fa il supercontinente Pangea comincia a frammentarsi. Inizia così un lento sprofondamento delle piattaforme carbonatiche; sui calcari di mare basso cominciano a depositarsi sedimenti calcarei di mare profondo, ricchi di fossili (Ammoniti) e di colore rosso per l’alto contenuto di ossidi di ferro.

Le piattaforme continuano a sprofondare e sopra il Rosso ammonitico si depositano sedimenti di natura silicea, i radiolari e le spugne silicee (Silicosponge) organismi che fissano la silice, invece che il calcio, per costruire i propri delicati gusci.

Sono passati altri 20 milioni di anni e siamo a circa 160 milioni di anni fa.

Attraverso le profonde fratture (faglie) generatesi durante la frantumazione delle piattaforme carbonatiche, risalgono in superficie, dal mantello, incandescenti filoni di magma che, a contatto con l’acqua marina fredda, si sono solidificati nelle tipiche “lave a cuscino” (pillows lava), rimaste poi coinvolte nel processo orogenetico della catena siciliana. Sempre in quel periodo, mentre molte piattaforme carbonatiche sprofondano, in altri settori si continuano a mantenere condizioni di mare basso. Qui proliferano dei molluschi bivalvi, le Rudiste. Ma anche le scogliere di Rudiste si smantellano facilmente sotto l’azione delle onde e delle correnti marine e producono enormi quantità di detrito che si accumula sul fondo di quel mare.

Sono passati tanti altri milioni di anni, tutti quei sedimenti si sono trasformati in dure rocce (diagenesi). Siamo a circa 28 milioni di anni fa, nel momento geologico in cui il continente africano si scontra con quello europeo (Teoria della Tettonica a zolle). Le forti spinte compressive dovute allo scontro tra le due zolle continentali cominciano a deformare gli strati rocciosi vecchi di milioni di anni; questi prima si corrugano, poi si spaccano e si accavallano (sovrascorrimenti) fino ad emergere, in parte, dal mare.

Siamo a 12 milioni di anni e fa e la Sicilia è un arcipelago, un insieme di isole costituite dalle cime più alte dell’attuale catena montuosa settentrionale (Madonie, Peloritani, Sicani).

Lo scontro tra Africa ed Europa, che è ancora in atto, causa forti cambiamenti ambientali; tra questi il più importante riguarda le comunicazioni tra Mar Mediterraneo ed Oceano Atlantico che, circa 7 milioni di anni fa, cominciano a diventare difficili. Sul fondo del Mediterraneo la circolazione delle correnti marine si blocca. Le acque si fanno sempre più stagnanti, diventano prive di ossigeno, si “avvelenano”. Si ha una moria generalizzata di organismi marini che si depositano sul fondo a formare sedimenti ricchissimi di sostanza organica (Tripoli). Il clima continua ad essere tropicale, le acque rimaste imprigionate nel bacino del Mediterraneo non hanno ricambio e cominciano ad evaporare, a diventare sempre più salate. Circa 6 milioni di anni fa la salinità è talmente elevata che quasi nessun organismo marino sopravvive (Crisi della salinità) e comincia la precipitazione sul fondo del mare dei sali disciolti nell’acqua, in ordine inverso alla loro solubilità (1° Ciclo della Serie Gessoso-Solfifera Siciliana): prima il Calcare, poi il Gesso, il Salgemma ed infine i Sali potassici. Il Mediterraneo arriva quasi a prosciugarsi, al posto di un mare ora c’è un insieme di bacini lacustri con acque salmastre che, periodicamente, diventano quasi dolci per l’apporto delle acque dei fiumi che cominciano a formarsi nei territori ormai emersi.

Le comunicazioni tra Mare ed Oceano sono ancora bloccate ma l’innalzamento periodico del livello generale dei mari permette alle acque oceaniche di traboccare, più volte, nel bacino mediterraneo. Si alternano così, nella deposizione, strati di gesso e strati di argilla. Si depositano i gessi dopo che le acque dell’Oceano traboccano nel Mediterraneo, si depositano le argille quando, evaporata la nuova acqua marina e deposti i sali, il Mediterraneo ridiventa un insieme di laghi dove i fiumi sversano le loro acque dolci ed i loro detriti (2° Ciclo della Serie Gessoso-solfifera Siciliana).

Sono passati quasi altri 2 milioni di anni, siamo a circa 5 milioni di anni fa e la situazione cambia improvvisamente. Le due zolle hanno continuato a muoversi e, in questa dinamica, si ristabiliscono le comunicazioni marine fra l’Oceano Atlantico e il Mar Mediterraneo. Le acque dell’Oceano si riversano fragorosamente nel bacino mediterraneo attraverso la soglia dell’attuale Stretto di Gibilterra; il Mediterraneo torna ad essere un mare aperto. Sui gessi alternati alle argille si depositano adesso sedimenti di mare profondo (Trubi). Le acque del Mediterraneo tornano ad essere ben ossigenate e ricche di vita ma questa volta è il clima, fino a quel momento sempre molto caldo, che comincia a cambiare.

Siamo a circa 3,5 milioni di anni fa, nel Pliocene. Le temperature globali cominciano lentamente ad abbassarsi e cominciano a formarsi i ghiacci ai Poli. Sui Trubi si depositano adesso sedimenti di mare basso ricchi di fossili tipici di questi ambienti (Biocalcareniti).

Dopo questo primo brusco raffreddamento climatico le temperature ritornano ad aumentare ma solo per un breve periodo e, a partire da circa 2,2 milioni di anni fa, inizia un nuovo graduale abbassamento termico. A questo alternarsi di condizioni climatiche corrisponde un altro fenomeno: l'abbassarsi del livello generale dei mari in coincidenza ai periodi di massima glaciazione per il richiamo di acqua da parte dei mari che si trasformavano in ghiaccio e l'innalzamento del livello, nelle fasi interglaciali, per lo scioglimento dei ghiacci. Queste alternanze climatiche si succedono più volte fino ad arrivare a circa 800-600.000 anni fa, alle glaciazioni quaternarie durante le quali si registrano oscillazioni del livello dei mari fino a - 120 metri rispetto all’attuale. Questi forti cambiamenti del livello dei mari risultano irrilevanti per le vaste aree continentali ma condizionano e modificano le aree costiere e in particolare le isole, tra queste anche la paleo-Sicilia che è probabile che abbia alternativamente perso le condizioni di insularismo o le abbia viste esasperarsi.

In questo contesto di forti oscillazioni del livello dei mari e di compressione tettonica ancora in atto, altri estesi territori dell’attuale Sicilia emergono dal mare.

La Sicilia comincia ad assomigliare a quella che conosciamo oggi, tranne che nella parte orientale che è ancora sommersa ed occupata da un grande golfo. Ma sono ormai evidenti i tre diversi settori che caratterizzano, ancora oggi, l’Isola: il Settore di Catena, la parte che si sviluppa lungo tutta la costa settentrionale, costituita principalmente da calcari, che risulta la più fortemente deformata nello scontro tra la zolla africana e la zolla europea (Egadi, Monti di Trapani, Monti di Palermo, Monti di Termini Imerese, Madonie, Sicani, Nebrodi, Peloritani; questo estremo settore orientale della catena settentrionale si distingue perché è costituito dalle uniche rocce metamorfiche siciliane); il Settore di avanfossa, che occupa quasi per intero la porzione centro-meridionale e che si articola in due distinti bacini di sedimentazione (Fossa di Caltanissetta e Fossa di Castelvetrano) invasi e colmati da sedimenti gessosi e di tipo torbiditico (frane sottomarine) definiti flysch, provenienti dall’erosione delle circostanti zone emerse e convogliate in mare dai fiumi; il Settore di avampaese, di natura carbonatica, localizzato nella porzione sudorientale dove gli strati geologici, pur essendo stati  sollevati, mostrano di avere risentito solo marginalmente delle forti compressioni in gioco, risultano quasi indeformati (altopiano Ibleo).

Le zolle continentali continuano a muoversi reciprocamente e, ad un tratto, il fondo dei mari che circondano la neonata Sicilia si spacca in più punti, le acque cominciano a ribollire: iniziano grandieruzione vulcaniche. Gli enormi quantitativi di materiale eruttato riempiono gradualmente l’intero golfo orientale. Il materiale che fuoriesce dalla bocca principale emerge dal mare ed inizia a formare l’edificio dell’Etna.  Ma la bocca eruttiva dell’Etna non è la sola a formarsi.

L’attuale Canale di Sicilia si spacca e comincia una eruzione vulcanica che genera l’Isola Linosa (circa 1 milione di anni fa) che oggi fa parte delle Isole Pelagie con Lampedusa. Seppur vicine, quest’ultima è, invece, di origine sedimentaria e fa parte, geologicamente, della zolla africana. Sempre nel Canale di Sicilia si formano altri centri vulcanici che non arrivano ad emergere dal mare come il Banco di Graham, di cui fa parte la celeberrima Isola Ferdinandea emersa a seguito di una emissione sottomarina nel luglio del 1831 e smantellata dal moto ondoso nei primi giorni del 1832. Nella fascia settentrionale si forma l’Isola di Ustica (circa 420.000 anni fa), il solo vulcano emerso di una serie di edifici vulcanici impostati lungo una grande discontinuità tettonica, legata all’evoluzione del Mar Tirreno meridionale (Seamounts). Emerge l’Isola di Pantelleria (circa 324.000 anni fa), la quinta isola italiana e, insieme alle Pelagie, il lembo più meridionale del territorio italiano. L’ultima eruzione è avvenuta nel 1891 e oggi conserva uno stato esalativo-idrotermale. Nel settore Nord-orientale emerge l’arcipelago delle Eolie: sette isole tutte di origine vulcanica. In ordine temporale prima Alicudi, Filicudi e Panarea (circa 330.000 di anni fa), poi Lipari e Salina (circa 150.000 anni fa). Vulcano e Stromboli, emersi per ultimi, non hanno mai smesso di essere attivi, lo sono ancora oggi. Stromboli è, inoltre, uno dei pochi vulcani al mondo che presenta uno stadio di moderata attività esplosiva permanente, con periodiche eruzioni di lava.

Si alternano così nel tempo fasi di forti eruzioni vulcaniche a fasi di stasi. La bocca eruttiva dell’Etna continua ad emettere lava: il golfo ha ormai lasciato il posto a quello che oggi è il vulcano attivo più grande d’Europa la cu forma attuale si deve, principalmente, ad una eruzione di tipo esplosivo risalente a circa 14.000 anni fa.

Siamo quasi alla fine della nostra storia (circa 10.000 anni fa) all’inizio dell’Olocene, il periodo geologico che stiamo ancora vivendo.  La Sicilia è ormai l’isola che conosciamo.

Tutte le terre emerse, costituite da rocce che hanno impiegato milioni di anni per formarsi, sono soggette adesso alle forze modellatrici degli agenti erosivi (pioggia, neve, vento, ghiaccio, radiazione solare, etc.) e all’azione costante delle acque dei mari e dei fiumi, oltre che della gravità. 

Le rocce più compatte e cementate resistono meglio all’azione demolitrice degli agenti erosivi e mantengono un aspetto irto ed accidentato, quelle più tenere e sciolte si lasciano erodere e trasportare molto più facilmente, ed assumono forme arrotondate.

Nei Peloritani le cime dei rilievi sono a volte scoscese, a volte arrotondate in dipendenza del grado di alterazione delle rocce metamorfiche e della conseguente risposta alle azioni erosive.

Anche i Nebrodi, che invece sono costituiti prevalentemente da terreni flyscioidi pelitico-arenacei, offrono resistenze diverse all’azione degli agenti erosivi, i declivi sono sia ripidi che estremamente addolciti. I tratti morfologici dei gruppi montuosi delle Madonie, dei Monti di Palermo, dei Monti di Trapani, di Castellammare del Golfo e dei Sicani, tutti costituiti da rocce calcaree e/o calcareo-dolomitiche, sono tipici di rilievi che offrono una buona resistenza all’erosione. La grande diffusione di rocce calcaree ha favorito lo sviluppo del carsismo, sia superficiale che profondo, che ne ha modellato larga parte del paesaggio e ha dato origine a numerose grotte e ripari sottoroccia, alcune delle quali hanno ospitato insediamenti preistorici. Nelle aree costiere alle grotte carsiche si aggiungono numerose cavità di origine carsico-marina e/o marina; anche queste, risultano in parte utilizzate dall’uomo preistorico.

I Monti Erei, di natura arenacea e calcarenitico-sabbiosa, ed i territori evaporitici dell’interno dell’Isola sono caratterizzati da morfologie collinari e forme molto addolcite, localmente interrotti da piccoli rilievi e pinnacoli più resistenti all’erosione. Nelle zone centrali l’elevata solubilità del gesso ha permesso lo sviluppo di estesi fenomeni carsici, sia superficiali che sotterranei. Anche alcune delle grotte nei gessi conservano testimonianze di importanti tracce di occupazione preistorica. Alla diffusione delle rocce evaporitiche è legata la presenza di gran parte dei laghi naturali siciliani. Infatti, ad eccezione di alcuni laghi sommitali dei Nebrodi e degli stagni costieri, la maggior parte delle conche lacustri occupa depressioni di origine carsica, legate alla dissoluzione delle rocce gessose.

In queste stesse aree, la diffusa presenza di terreni argillosi favorisce lo sviluppo di intensi e frequenti movimenti franosi. I detriti che si formano dal disfacimento delle rocce si accumulano, per effetto della gravità, in zone più basse, ai piedi dei rilievi montuosi da dove possono essere allontanate dalle acque dilavanti e dai fiumi.

I fiumi, che perdono energia man mano che diminuisce la pendenza del loro letto e quindi man mano che si avvicinano al mare, cominciano a depositare i detriti lateralmente al loro tracciato, a formare le pianure; solo una parte dei detriti prelevati durante il loro corso viene depositata in mare, dove contribuisce a formare le coste sabbiose.

La fascia costiera siciliana è variamente articolata, in dipendenza delle rocce che la compongono, con tratti sabbiosi, ciottolosi o rocciosi, oppure con falesie a strapiombo sul mare.

La fascia costiera settentrionale presenta tratti di costa bassa e sabbiosa, intercalati a tratti di costa a falesia; è articolata da numerosi golfi, il più ampio dei quali è quello di Castellammare che conserva lembi di terrazzi marini a diverse quote che testimoniano i successivi livelli di stazionamento del mare pleistocenico; presenta una ampia piana costiera nella parte centrale della Golfo di Termini Imerese, formatasi per gli apporti alluvionali dei fiumi Torto ed Imera Settentrionale. Altri importanti fiumi che sfociano nel versante settentrionale sono il S. Leonardo (Termini Imerese) e il S. Bartolomeo (Castellammare).

I Peloritani ed i Nebrodi sono drenati da numerosi torrenti, con foci lungo i litorali tirrenico e ionico, caratterizzati da elevata pendenza e dalla r3idotta lunghezza delle loro aste fluviali, che scorrono su ampie e potenti piane alluvionali (fiumare).

L’idrografia delle aree centrali più interne è caratterizzata dall’ampio bacino del Fiume Belice e, più ad Est, da alcuni dei maggiori corsi d’acqua della Sicilia, il Platani, l’Imera Meridionale o Salso che sfocia nel grande Golfo di Gela che costituisce una vasta piana costiera alluvionale.

La Piana di Catania si è formata, nel corso del Quaternario, dagli apporti alluvionali del Simeto (il fiume con il più grande bacino idrografico della Sicilia) e dei suoi attuali affluenti che sfociano sulla costa ionica, come il fiume Alcantara (il fiume con maggiore portata media) che ha origine dal versante meridionale dei Peloritani e viene alimentato anche dalle acque che provengono dal versante settentrionale dell’Etna.

Nelle ultime migliaia di anni sono stati gli agenti erosivi a modellare le varie rocce e a creare i diversi paesaggi che oggi caratterizzano la Sicilia. E’ solo nell’ultimo istante di questa storia che entra in scena un nuovo protagonista capace di cambiare, in tempi brevissimi, il paesaggio: l’uomo.

La Sicilia che conosciamo oggi è dunque il risultato dell’interazione tra le forze geologiche che in milioni di anni ne hanno strutturato la forma generale e le forze geomorfologiche, uomo compreso, che ne hanno scolpito e continuano a scolpirne i particolari.